Il rischio biologico nelle attività sanitarie, poiché è originato dal contatto con pazienti e loro fluidi biologici, non può mai essere del tutto eliminato; le infezioni a trasmissione ematogena sono le più frequenti e i microrganismi maggiormente coinvolti sono il virus dell’epatite B (HBV) e C (HCV) e il virus dell’immunodeficienza acquisita (HIV).

Nonostante nelle attività sanitarie, purtroppo , punture, tagli e ferite hanno sempre avuto un’incidenza elevata, si riscontra poca percezione del rischio, quindi una mancata adesione verso le misure standard di prevenzione e le procedure di buona tecnica. Già il D. Lgs.  626/94 prevedeva l’obbligo della revisione  almeno triennale della valutazione del rischio biologico.

La nuova normativa comunitaria pone al primo posto l’obbligo del datore di lavoro di provvedere affinché il personale sia adeguatamente formato e dotato di risorse idonee per operare in condizioni di sicurezza; particolare attenzione è posta sul coinvolgimento dei lavoratori, dei loro rappresentanti, sulle iniziative di prevenzione e sensibilizzazione, monitoraggio del fenomeno infortunistico (misura indispensabile per controllare il fenomeno), per avere quindi una valutazione dei rischi dettagliata e ricca di elementi.

Il provvedimento dichiara espressamente all’articolo 286-quater  comma d), che il rischio biologico non deve mai essere ritenuto assente. Di conseguenza, le misure di prevenzione specifiche previste al successivo articolo  286-sexies diventano obbligatorie in tutti gli ambienti sanitari, a comporre una politica globale di prevenzione che tenga conto delle tecnologie più avanzate.

In caso di mancato adempimento la normativa vigente stabilisce sanzioni pesanti per i datori di lavoro. E’ infatti previsto l’arresto per 3-6 mesi o la multa da euro 2740 a 7000 per chi viola le norme o non mette in atto  misure necessarie per prevenire , eliminare o ridurre i rischi professionali.

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