Un panificio della Regione Veneto prepara gli impasti di alcuni pani speciali e, una volta lievitati, ne blocca la lievitazione ponendoli in abbattitore di temperatura. Il prodotto viene posto in sacchi in cella a -18 °C e, a seconda della necessità, gli impasti vengono prelevati, scongelati, messi a lievitare e cotti.

La legge regionale del Veneto n. 36 del 2013, all’art. 2, definisce il pane fresco: «pane prodotto secondo un processo di produzione continuo, privo di interruzioni finalizzate al congelamento, alla surgelazione o alla conservazione prolungata delle materie prime, dei prodotti intermedi della panificazione e degli impasti, fatto salvo l’impiego di tecniche di lavorazione finalizzate al solo rallentamento del processo di lievitazione, da porre in vendita entro un termine che tenga conto delle tipologie panarie esistenti a livello territoriale e comunque entro e non oltre la giornata nella quale è stato completato il processo produttivo.

  1. In conformità alla legislazione europea vigente, è fatto obbligo al venditore di pane precotto o congelato di esporre l’etichetta contenente, fra l’altro, la dicitura relativa all’indicazione del luogo di origine o di provenienza del prodotto, la data di produzione e la ragione sociale del produttore».

L’OSA dichiara che il suo non è un congelamento, ma un impiego di tecniche di lavorazione finalizzate al solo rallentamento del processo di lievitazione. Sta di fatto, che in cella a -18 °C sono presenti delle forme di pane speciale crude a temperature di congelamento, che stazionano lì per non più di 10 giorni. Come devo valutare la situazione?

La legge della Regione Veneto 36/13, come molte altre norme, lascia relativa libertà di manovra all’OSA per quanto riguarda l’applicazione delle procedure in essa descritte. In questo caso particolare, ci sembra che la procedura attuata dal panificio, ossia il congelamento degli impasti al solo scopo di fermare la lievitazione, possa essere applicata senza problemi, continuando a definire il pane come “fresco”. Tuttavia, vogliamo segnalare che, nell’ottica di un quadro interpretativo diverso, l’autorità competente potrebbe obiettare che il congelamento a -18 °C per un tempo di circa 10 giorni sia un espediente volto, in realtà, solo ad agevolare le operazioni di produzione, in quanto l’inibizione dei lieviti può avvenire anche a temperature più elevate (vicine allo zero). In quest’ottica, riteniamo, dunque, che l’OSA debba essere in grado di dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che le procedure da lui adottate siano effettivamente rispondenti ai requisiti della norma, senza snaturarne la ratio. A tale scopo, si potrebbe pensare di eseguire delle prove di vitalità per il lievito alle varie temperature, in modo da suffragare con prove di laboratorio le procedure adottate.

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Fonte: Alimenti & Bevande