Allevatori fra scandali e inchieste. Nessuno li aiuta

In calcolata contemporaneità elettoralistica l’annuncio dell’ennesimo decreto del Consiglio dei ministri per la dichiarazione obbligatoria in etichetta dell’origine del latte (sia per uso alimentare diretto che per uso caseario). Nell’occasione Francia e Italia si ricordano di essere le “Sorelle Latine” vista la concorde visione sull'”indicazione d’origine” di cui è espressione il “Projet de dècret relatif à l’indication de l’origine du lait et des viandes utilisèes en tant qu’ingrédient” d’iniziativa anch’esso del Consiglio dei ministri. Troppo forti i populismi campanilistici di questa Europa. Impossibile dimensionarli a misura di situazioni contingenti o di tradizioni culturali, locali, amministrative.
Un passo atteso da molti anni a sostegno del 100% made in Italy” la ciarla del nostro premier che, con sbrigativa enfasi, il Corriere della Sera (31 maggio) passa sotto il titolo “etichetta salva latte italiano”. Immancabile l’intervento di Roberto Moncalvo presidente di Coldiretti “la stalla è un patrimonio per la sicurezza alimentare, il benessere degli animali e la protezione e il presidio del territorio“.
Bravo! E allora siamo legittimati a chiedergli: quali le misure concrete finora adottate per la tutela di questo patrimonio dal flagello aflatossina che contamina il nostro latte (il più buono, sano e genuino secondo il vostro ossessivo mantra)?
Difendere il “patrimonio stalla” significa fornire l’appoggio necessario agli agricoltori allevatori sui fronti (lasciati sguarniti sia dagli enti regionali sia dalle associazioni professionali di categoria) che sono: assistenza scientifica, protezione mediatica, tutela giuridica.

ASSISTENZA SCIENTIFICA
Vuol dire applicare i progressi della scienza a prevenzione e contenimento del fenomeno in campo. Non solo adempimenti burocratici  ma input operativi per massimizzare le rese nel rispetto della qualità delle produzioni e dell’ integrità dell’ambiente. Equilibrati e non massivi apporti nutrizionali e biostimolanti per il buon vigore vegetativo (prima barriera alle avversità) e per il mantenimento della fertilità dei terreni; strategie di difesa, non solo chimica ma integrata, per contrastare infestazioni da insetti, sovente predisponenti successive contaminazione fungine; difesa competitiva a base di microrganismi atossigeni (Aspergillus spp) appositamente immessi nell’ambiente ed altri ancora costituiscono i principali fattori di intervento. Non ultimo il pervicace rifiuto dei semi di mais biotech di riconosciuta efficacia per il contenimento del rischio aflatossine.
E allora: chi interviene con normative locali e supporti finanziari su questo problema che si può risolvere solo con programmi di prevenzione?

PROTEZIONE MEDIATICA
Vuol dire pubblici, responsabili interventi a sedare lo scandalismo provocato da sospetti gazzettieri e organizzazioni pubblicitarie interessate. Con tutta l’autorevolezza mediatica di cui gode Coldiretti l’impresa non è difficile.

TUTELA GIURIDICA
Oggi chi assiste gli allevatori nelle inchieste giudiziarie avviate da Procure di mezza Italia? Come in Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna dove folte sono le liste delle aziende agricole indagate per i reati previsti dagli articoli 515, 442 del codice penale con il sovraccarico dell’art. 110 nei casi di “concorso” quando i legali rappresentanti dell’azienda agricola sono più d’uno? Tutti sotto lo stesso denominatore comune della “consapevolezza” che il mangime utilizzato per nutrire le bovine da latte fosse contaminato da aflatossina M1.
Coscienza e volontà dunque di frode commerciale per di più pericolosa per la salute pubblica. Accusa gravissima che, anche a prescindere dal suo profilo di soggettiva responsabilità, suscita perplessità non trascurabili. Che in buona sostanza, come pretende la sintesi di queste note redatte in carenza di carte processuali, si articolano intorno ad un interrogativo di bruciante evidenza: dove risiede il riscontro oggettivo?
Non certamente nei rapporti di prova sequestrati presso gli istituti zooprofilattici che eseguirono l’analisi su un campione di latte fornito (com’è d’uso a mo’ di autocontrollo dalle stesse aziende agricole e per questo indagate). Si verifica invece che questi rapporti siano ritenuti di valore probatorio. Proposizione temeraria sul piano logico-giuridico e tecnicamente invalidata dal semplice motivo che il dato analitico di “non conformità” è riferibile ad una sola aliquota (pretestuosamente definita “campione”) e quindi manca di un imprescindibile requisito: quello della rappresentatività della partita di latte sotto esame. Infatti ben altre sono le norme procedurali dei campionamenti e tanto più cogenti al punto di ritenersi sostanziali.

Questo stabilito, come punto fermo ed insuperabile, resta inspiegabile il motivo per cui non si sia proceduto nei riguardi dei caseifici che hanno messo in opera il latte contestato. La circostanza che i formaggi da questo ottenuti siano stati dichiarati già esitati per la distribuzione non ha pregio alcuno stante l’obbligo di legge in capo agli operatori sostanze alimentari (gli OSA) dell’accertamento della “rintracciabilità”. Essendo essa stabilita per legge (in tutte le fasi della produzione, trasformazione e distribuzione degli alimenti e di qualsiasi altra sostanza destinata o atta a far parte di un alimento) l’omesso riscontro sul destino del latte contestato appare in tutta la sua gravità sol che si pensi che i suddetti OSA sono obbligati per legge a disporre di sistemi e di procedure che consentano di mettere a disposizione delle autorità competenti le informazioni al riguardo. Non esiste, almeno al lume delle nostre conoscenze, indagine volta ad accertare l’esistenza di documentazione idonea allo scopo e quindi, sul filo di conseguente logica giuridica, la fornitura di latte inquinato da aflatossina si perde nel mare magno di mere supposizioni.

In questa bufera le ASL ovvero i Servizi Veterinari, che sono l’unico organo tecnico e autorità competente a livello territoriale, appaiono invece incompetenti per materia. Ma il fatto è che questo ruolo, che assume particolare rilevanza proprio perché coniuga il sapere scientifico e le competenze in materia di controllo, è poco conosciuto, se non sottovalutato, dagli organi inquirenti che si rivolgono ai NAS. Che pur validi sotto il profilo investigativo, non posseggono le elevate competenze dei medici veterinari specialisti che, non dimentichiamolo, rivestono anche la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria.
Il Servizio Veterinario dovrebbe essere l’interlocutore privilegiato delle Procure, specie laddove occorre affrontare delicatissime problematiche come quello delle aflatossine che necessitano di un approccio prudente e attento perché vi è in gioco non solo la salute ma anche l’economia di un settore, quello agroalimentare, strategico per l’economia nazionale.

aflatossina

Fonte: Alimenta – Articolo di Antonio Neri