Cassazione penale, sentenza n. 31164 del 20 luglio 2016 (udienza del 6 maggio 2016 – riferimento normativo: art. 19, legge 283/1962):

“In tema di disciplina degli alimenti, dovendo per “confezione originale” intendersi ogni recipiente o contenitore chiuso, destinato a garantire l’integrità originaria della sostanza alimentare da qualsiasi manomissione e ad essere aperto esclusivamente dal consumatore, allorché invece i prodotti alimentari non sono confezionati in involucri o recipienti sigillati, che non ne consentono l’analisi senza il loro deterioramento o la loro distruzione, il commerciante o detentore di essi a scopo di vendita o somministrazione risponde a titolo di colpa della non corrispondenza del prodotto alimentare alle norme di legge.”

Limpido e indiscutibile principio, direttamente discendente dal contenuto dell’art. 19 della legge 283/1962, che esclude la responsabilità del rivenditore del prodotto in confezione integra per vizi intrinseci. Nel caso trattato la condanna per violazione degli artt. 5, lett. g), e 6 della l. 283/1962 aveva colpito l’immissione in commercio di mazzancolle decongelate contenenti anidride solforosa, sostanza chimica non ammessa, che erano state poste in commercio dopo averle estratte dalla confezione originale. La difesa aveva presentato ricorso deducendo che l’alimento era affetto da una irregolarità intrinseca non riconoscibile. La Corte non poteva accogliere il ricorso perché il sistema della legge 283/1962 prevede una (rigorosa) responsabilità per colpa da parte del commerciante – oltre che ovviamente in capo al produttore – anche per quelle non conformità né da lui determinate, in quanto esistenti all’origine, né da lui conosciute, sempre che si tratti di prodotti non confezionati, o quando la confezione non è integra.

Tanto deriva, appunto, a contrario dalla previsione del citato art. 19. Lo scopo di questa norma è che, mentre in linea di principio chiunque mette in circolazione prodotti alimentari deve garantirne la sicurezza, igienicità e genuinità, al contempo ritenere responsabile il mero rivenditore che commercializza il prodotto irregolare in confezioni originali vorrebbe dire addossargli una responsabilità oggettiva, non ammissibile in campo penale. Infatti, proprio perché la confezione costituisce il veicolo di scambio tra produttore e consumatore, nel senso che essa assicura a quest’ultimo di comprare esattamente quanto il primo ha fabbricato, non si può – e, anzi, non si deve – richiedere all’intermediario di sconfezionare il prodotto per verificarne il contenuto e la conformità, pena la vanificazione stessa della funzione della confezione. Per contro, però, se il prodotto è sfuso viene a mancare l’ostacolo alla pretesa che anche il rivenditore risponda del vizio intrinseco dell’alimento, quanto meno a titolo di colpa, per non avere adottato quelle modalità di controllo che per la giurisprudenza si sostanziano nell’onere di effettuare delle analisi sul prodotto, quantomeno a campione. È questo, dunque, il principio che la Cassazione ribadisce. Neppure l’effettuazione a monte di controlli doganali o anche sanitari giustificano un esonero di responsabilità per il rivenditore. Così come di solito la giurisprudenza lo esclude nei casi in cui il commerciante si faccia semplicemente certificare dal fornitore la regolarità del prodotto. La ragione di questa interpretazione, che può apparire “capestro”, ma è perfettamente aderente al testo e allo spirito della normativa, si spiega con il fatto fondante che, essendo la salute un bene primario, la legge vuole estendere gli obblighi di garanzia a tutti gli operatori, ciascuno per la sua parte e con diversi livelli e criteri di responsabilità. Dal momento che lo strumento principe, se non unico, che può consentire al rivenditore di verificare l’intrinseco del prodotto sono le analisi di laboratorio, la giurisprudenza arriva alla conclusione che ove queste non siano di fatto possibili, come nel caso di prodotti altamente deperibili, viene meno la responsabilità. Ma al di là di questo limite, non costituisce invece idonea giustificazione deresponsabilizzante l’esistenza e onerosità dei relativi costi.

alimenti sfusi

Fonte: Alimenti & Bevande