Cassazione penale, sentenza n. 439 dell’11 gennaio 2012, con riferimento normativo alla Legge 283/1962, art. 5, lett. B:

“Sebbene l’art. 5, lett. b, Legge 283/1962 preveda un reato di pericolo presunto, deve essere comunque sempre rigorosamente accertata l’esistenza di situazioni di fatto che danno causa all’esistenza del pericolo.”

Il caso ha riguardato la condanna in primo grado del legale rappresentante di un caseificio, trovato in possesso di confezioni di formaggio, destinate alla vendita all’ingrosso e depositate in locali umidi, che erano state ritenute dall’organo di controllo non conformi ai dettami di una corretta conservazione.

Ricorrendo alla Cassazione la difesa aveva eccepito che il giudice non aveva motivato in merito all’esistenza di una situazione di pericolo, che, al contrario, doveva essere esclusa, considerato che i pezzi di formaggio erano custoditi in confezioni sotto vuoto, e non aveva valutato le regole tecniche di corretta conservazione dei formaggi (come erano state esposte in una consulenza di parte) né aveva accertato se dette confezioni non fossero destinate a una rapida esitazione alla vendita.

La Corte di Cassazione ha riconosciuto la fondatezza del ricorso, affermando che la condanna per la violazione dell’articolo 5, lett. b, della Legge 283/1962, sebbene questo sia un reato di pericolo presunto, deve basarsi su “un accertamento rigoroso del mancato rispetto delle norme di legge o di comune esperienza che, solo, garantisce che la tutela anticipata dell’igiene degli alimenti e della salute dei consumatori non si trasformi in previsione priva di tipicità e insuscettibile di effettiva difesa da parte della persona indagata o imputata”. Questa affermazione significa in parole povere che il giudice deve sempre accertare se nel caso concreto sussiste effettivamente una situazione di pericolo che permetta l’applicazione della norma. In altri termini, deve accertare e spiegare qual è la situazione di pericolo che si attribuisce all’imputato.

Nel caso in questione il giudice non ha indicato per quale ragione i pezzi di formaggio, che pure erano sigillati, fossero suscettibili di subire delle contaminazioni ad opera di agenti esterni. Inoltre, quanto all’umidità e alla temperatura dei locali dove erano conservati i tagli di formaggio, la differenza aveva invocato il disciplinare di produzione della Fontina Dop, che avvallava quelle modalità di conservazione, mentre il tribunale non aveva spiegato perché le condizioni in cui era tenuto il formaggio potessero incidere negativamente sulla conservazione del prodotto.

La Corte ha quindi annullato la sentenza, rinviando ad altro giudice del medesimo tribunale per una nuova valutazione del caso sulla base dei principi enunciati.

conservazione

Fonte: Alimenti & Bevande 9 anno XIV